10 km !
Avevo iniziato camminando, un passo dietro l'altro, e alla fine il respiro si faceva affannoso come quello di un vecchio che alita sul suo deambulatore. Alzarsi presto la mattina non era soltanto una sana abitudine, ma una strategia per fuggire gli sguardi impietosi degli sconosciuti. Sguardi nei quali riflettevo il mio giudizio, doppio, uno per occhio.
Stanco!
Avrei fatto meglio ad iniziare con un ritmo lento, ma come ogni principiante appena senti che le gambe reggono corri, vai, voli, per affannarti al decimo metro.
3 km!
Ritmo da chiacchierata, un bombardamento di parole mi entrava nelle orecchie bucandomi il cervello come spilli in un cuscinetto di seta. Chiacchiere su chiacchiere, problemi su problemi, parole su parole. Inutili, come quasi tutte le parole del mondo. Non riuscivamo a vedere il sole alto nel cielo, le nubi schiarirsi per dare vita al tardivo tramonto di una mattinata fresca, come nelle etichette degli abiti che avevo comprato : per correre con tempo fresco/freddo.
Fuggire
Dalle parole che entrano inutili nel cervello e che oramai conosci a memoria e non vuoi più ascoltare. Alla fine avevamo abbassato la nostra media ugualmente, persino chiacchierando. Ci avevo provato a scappare, ma poi mi era dispiaciuto.
l'orgoglio!
Ogni tanto una risposta, perchè non tutte le parole sono tollerabili, alcune feriscono, altre infastidiscono. Era una partenza di fastidi. Talmente tanto il fiato sprecato da tornare indietro a metà strada. La testa persa nei pensieri inutili che non risolvono niente. Avevo bisogno di calma, abbandonarmi a sensazioni piacevoli. Un altro passo, il respiro affannoso che scende sotto il diaframma, gonfia la pancia e prosegue fino alle gambe. In forma, leggere.
Sorpresa!
Io torno indietro. Eh si, perchè la differenza tra l'immobilismo ed il movimento è il movimento. Lo scopri quando lo fai, non quando lo sai. Altri 7 km, tutti da percorrere. Finalmente vedevo i raggi del sole, il vento fresco battermi addosso, il verde del prato, sentivo l'aria fresca nei polmoni ed il sudore scendere lentamente sulla schiena.
Senso di colpa
Perchè non avevo ascoltato, quanto è difficile capire l'inutilità delle parole finché parli. Come spiegare che stare in silenzio è molto meglio che riempirsi il cervello di chiacchiere roteanti, se quando taci continui a parlare nei pensieri. Come spiegare che l'unico problema è dire troppo di sé, fare poco per esserlo. Come rendersi consapevoli che non siamo soltanto le nostre emozioni, i nostri pensieri o i nostri sensi?
Perché spiegarlo? Perchè doverlo dire, perchè dover convincere qualcuno? Quando sei contagiato dal dolore delle persone a cui vuoi bene puoi soltanto staccarti un pò, perché tenere i piedi nelle sabbie mobili in due serve soltanto a trasformare la sofferenza in tragedia.
E poi la corsa
Un'immagine in testa, un pensiero soffocante una discussione in cui sono stato troppo duro, acceso, e le risposte, le domande, un film che si ripercorre dentro di me per realizzare che sono arrivato al secondo ponte, e niente è cambiato. La stanchezza di fa strada nelle gambe, il respiro si appesantisce ed ecco che il traguardo si allontana. No, succede sempre nelle sfide, quando hai un obiettivo da raggiungere, qualcosa da fare. A metà strada pensi: sarà una cosa fatta bene? Lo puoi sapere dopo che l'hai fatta, per cui falla e basta. La prima curva, lunga, inesorabile, il desiderio di fermarsi, ma no, non posso, perchè mi succede sempre anche questo, mi fermo. Invece adesso è ora di proseguire, e continuo. Arrivo in fondo alla prima metà, e mi sento felice, posso tornare indietro, ma amncano altri 400 metri, eppure voglio finirla qui. Sono stanco, forse corro troppo mi dice il cervello. Troppe parole, proseguo e non rallento il passo. Sulla via del ritorno mi eclisso, quando mi sveglio ho fatto appena cinquanta metri, una trance sorprendente, un modo di allontanarsi dalla corsa inutilmente. No, voglio correre, e sentirla fin dentro le gambe.
A guardia del ponte
Un vecchio guerriero, che avevo sempre visto come pericoloso, una minaccia da evitare. qualche volta ci ero passato lontano. Oggi trasformato in un povero cane impaurito, che vede calpestato il suo orgoglio da tutti coloro che senza timore invadono il suo territorio, a memoria di vecchie glorie passate e di un trono vacante. Mi fermo. Non è mollare, è un gesto d'amore. Mi avvicino e lo accarezzo, sembra apprezzare ma è nervoso e scatta abbaiando. Mi ritraggo e proseguo figgendo con la coda tra le gambe, perchè è presuntuoso ritenere che le memorie passate e le intenzioni umilianti del viandante siano scordate soltanto perchè il carnefice si rende conto di umiliare. Tutti vorremmo cancellare le nostre colpe, più difficile convivere con essere utilizzandole come guida di un nuovo modo di agire.
La resa
La gamba cede, il passo si fa pesante ed il fiato corto. Sento il battito del cuore, avverto il sangue zampillare nell'aorta come nei tubi del bagno quando mi lavo il viso. E' qui che sono arrivato? mi chiedo. Ma no, non va bene, proseguo oltre fino a rompere le ginocchia. Sto per fermarmi quando capisco che si può anche rallentare, tra niente e tutto è nel mezzo l'universo, è bene ricordarselo. Così rallento, e recupero, perché quando hai dato il massimo anche rallentare aiuta a crescere. Due chilometri così, in pace, ammiro il sole che mi carezza il volto, sporgo una mano dal busto e sento la sua carezza sul dorso. Grazie! dico ad alta voce, Grazie! ripeto.
L'ultimo km
La passerella dell'ultimo chilometro, finalmente l'agognato traguardo. Mancano due curve ed avrò terminato. Accellero il passo per recuperare il tempo perduto, una corsa contro il tempo. La prima curva è facile, il vento sopra la pella, la sensazione di essere immortale si fa strada nel mio corpo salendo da terra, lungo le gambe, attraversa il petto ed i polmoni, per fermarsi, perchè non c'è aria. Così rallento nuovamente.
L'arrivo
è dietro l'ultima curva, lo vedo e le gambe sembrano frenarsi. Troppe volte ho lasciato che la fine si anticipasse da sola, stavolta voglio essere io a terminare. Perchè se non finisco non saprò mai se posso farcela, ma una volta che l'avrò fatto saprò che posso, ed il desiderio entrerà a far parte delle cose reali. E vedo la salitna finale, dove in cima c'è il traguardo che nessuno vede, ed io ricordo il cane che mi parla e mi racconta della sua sfiducia verso gli uomini, e verso di me. Della mia arroganza nel pretendere che cambiasse quando sono cambiato io. E vedo la prima metà, che mi ricorda che non si deve rallentare nei momenti più importanti, e vedo il mio orgoglio, che agogna la passerella che non c'è.
Arrivo!
E' finita, mi sdraio per terra e sento un milione di persone intorno a me che non mi vedono. Mi alzo, adesso anch'io non le vedo, non ci sono, non ci sono mai state. Ho concluso il mio primo traguardo importante nella più assolutà intimità del mio silenzio, e sono felice!
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