Avido è colui che quando accumula ricchezza, non vede aumentare il valore del suo patrimonio, ma vede amplificarsi le disgrazie che potrebbero capitargli e per cui quel denaro sarebbe necessario.
Quando Ronald Regan propose una riforma liberista dei mercati, fiducioso che si sarebbero regolati autonomamente, non aveva fatto i conti con l’avidità delle persone che fanno i mercati.
La distribuzione della ricchezza in un paese è riflette l’avidità delle persone che lo abitano.
Non si è avidi d’amore. Neppure quando non basta mai. L’avidità dell’amore ha a che fare con la solitudine, l’insicurezza, la necessità di dipendere.
In situazioni estreme non prevale mai l’avidità, ma la necessità di sopravvivere e le risorse a nostra disposizione per farcela.
L’avidità è il male dell’abbondanza. Quando una civiltà, un gruppo, una società, comincia a crescere e ad accumulare ricchezza, ecco che essa compare. Di soppiatto, nascosta, sotto forma di leggi, classi sociali, culti religiosi, valori morali e ideologie.
Nessun animale è avido. Mai. Hanno forti gerarchie e distribuiscono cibo e sesso in base ad esse. La forza e l’utilità sociale per il branco sono le uniche misure del valore soggettivo. La meritocrazia è garantita dall’ambiente circostante, pronto a decimarli non appena un qualunque vizio umana vada ad interferire con questo delicato equilibrio.
Avidità e classi sociali sono due cose diverse. La prima tende ad usare strumentalmente la seconda. La seconda o si ribella, o subisce passivamente, o tenta di difendere la propria ricchezza.
L’economia, come la finanza, sarebbero perfette a garantire democrazia e meritocrazia in abbondanza. Se non fossero gestite dagli uomini.
L’avidità, se applicata alle emozioni, si trasforma in uno squilibrio riassumibile in qualche forma di follia.
L’avidità è un male se si ha molto, un bene se si ha poco.
Avido è colui che non si fida degli altri, che si sente solo, che è individualista e che alla resa dei conti sacrifica volentieri molti legami affettivi in cambio del proprio benessere.
L’avidità: è un male o un bene?
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